Quanto mi fai male, Piazza, mentre ti guardo con l'occhio già pronto alla lacrima di nostalgia che, voltate da te le spalle, dovrò mandare. E ti scruto, come a voler vergare a forza il tuo più minuto dettaglio nella cera indocile del ricordo. Ma alla fine, stanco di tanta battaglia, l'occhio si chiude e gode della tua invisibile bellezza, che è il centuplo di quella che offri nell'apparire trionfante nel declivio e doma nella salita.
E' una bellezza più profonda quella che in te non si vede, ma quasi si può ascoltare nel vuoto che ti riempie, in quell'aria turbolenta di cui il cavallo diventa fantino nel mezzo della carriera, nel passo lontano di chi, a notte tarda, rientra verso casa e come me non può rinunciare a rimirarti, quasi fosse l'ultima volta. Ecco ad un tratto, lasciate libere le cataratte dei sensi, che quel vuoto diventa sovrabbondanza, e quel passo un calpestio frenetico, e il pensiero sbigottito si sente come gettato in una bolgia di sentimenti contrari, di alte grida di gioia e gemiti di sconfitta. Ed io, straniero, che ancora ha da vivere il suo primo Palio, sento riempirsi in me i solchi lasciati in cuore da un desiderio e una speranza. Tu, Piazza - deserta - ti animi allora di un moto arcano, come se i canti, le apostrofi e le esortazioni risuonassero contro il velame stellato, riverberate tra le pietre dei tuoi palazzi e i mattoni del tuo suolo. Nel clangore che la fantasia ricrea nasce allora un sentimento nuovo, nella parte intima dell'anima: non necessita attraversarla dalla superficie al centro, perché proprio dal centro esplode, fino a prostrarne la Ragione. Una folle consapevolezza mi scuote, ed è coscienza di futuro pianto d'amarezza o di gioia versato su quelle lastre che ora premo, inesperto, e premerò un giorno nel vivo della corsa. E so bene che quel pianto scorrerà giù per la conchiglia, a ricongiungersi con quello ben più degno dei padri e dei figli di Siena, laggiù, nel gavinone.
Ora, con questa coscienza, Piazza, ti lascio al tuo mistero, alla resistenza titanica, simile in tutto a quella del cosmo, che offri nel contenere, tu così piccola, da secoli e nei secoli, l'immensità di amori e odi, dolori e esultanze.
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