
venerdì 4 gennaio 2008
Jacques Prévert: Questo amore...

martedì 1 gennaio 2008
domenica 16 dicembre 2007
Una voce m'ha portato a Siena - Arrivederci alla Piazza
E' una bellezza più profonda quella che in te non si vede, ma quasi si può ascoltare nel vuoto che ti riempie, in quell'aria turbolenta di cui il cavallo diventa fantino nel mezzo della carriera, nel passo lontano di chi, a notte tarda, rientra verso casa e come me non può rinunciare a rimirarti, quasi fosse l'ultima volta. Ecco ad un tratto, lasciate libere le cataratte dei sensi, che quel vuoto diventa sovrabbondanza, e quel passo un calpestio frenetico, e il pensiero sbigottito si sente come gettato in una bolgia di sentimenti contrari, di alte grida di gioia e gemiti di sconfitta. Ed io, straniero, che ancora ha da vivere il suo primo Palio, sento riempirsi in me i solchi lasciati in cuore da un desiderio e una speranza. Tu, Piazza - deserta - ti animi allora di un moto arcano, come se i canti, le apostrofi e le esortazioni risuonassero contro il velame stellato, riverberate tra le pietre dei tuoi palazzi e i mattoni del tuo suolo. Nel clangore che la fantasia ricrea nasce allora un sentimento nuovo, nella parte intima dell'anima: non necessita attraversarla dalla superficie al centro, perché proprio dal centro esplode, fino a prostrarne la Ragione. Una folle consapevolezza mi scuote, ed è coscienza di futuro pianto d'amarezza o di gioia versato su quelle lastre che ora premo, inesperto, e premerò un giorno nel vivo della corsa. E so bene che quel pianto scorrerà giù per la conchiglia, a ricongiungersi con quello ben più degno dei padri e dei figli di Siena, laggiù, nel gavinone.
Ora, con questa coscienza, Piazza, ti lascio al tuo mistero, alla resistenza titanica, simile in tutto a quella del cosmo, che offri nel contenere, tu così piccola, da secoli e nei secoli, l'immensità di amori e odi, dolori e esultanze.
sabato 15 dicembre 2007
giovedì 29 novembre 2007
Si Sienne m'était contée - episodio II
La descrizione delle strade della Contrada dell'Oca, con il loro precipitoso moto discensivo, e del fossato di Fontebranda, schiacciato tra il salto che regge Vallepiatta e la parete di tufo culminante in San Domenico, mi ricorda una passeggiata fatta in un giorno piovoso di Maggio, quando dovetti trovare riparo sotto gli archi della fonte. La pioggia cadeva tanto copiosa che a malapena riuscivo ad intravedere la cupola bronzea e il campanile del Duomo. Anzi, tanto in alto paiono, quella cupola e quel campanile, che, in parte offuscati, sembravano librarsi per aria per contrastare la caduta della pioggia stessa.
E poi da questa pagina s'immaginano cose antiche e rimosse: che gli archi della fonte recavano inferriate, che le donne dell'Oca, e non solo suppongo, vi lavavano i panni mentre le pelli degli animali abbattuti nei vicini macelli seccavano appese alle conce.
Una strada scende: anche un'altra scende e le viene incontro: si fermano insieme. Dalla prima, a metà, se ne parte un'altra, più bassa, che fa lo stesso.
Su la prima se ne butta un'altra; poi la prima e la seconda, dopo la fermata, se ne vanno giù insieme e a un certo punto incontrano quella più bassa di tutte. Altre strade la tagliano e scendono. Le case hanno paura a stare ritte tra questi precipizii e si toccano con i tetti pendenti. Ma anche i tetti, a pendere così, non potrebbero cadere tutti giù?
Le case, per fortuna, sono soltanto a due o tre piani; e la gente, alle finestre, ha l'aria di far loro contropeso; perché non seguitino ad andare più in giù, verso la Porta Fontebranda, da dove certo non passerebbero essendo così stretta. Le vie della città guardano queste quasi per scendere loro addosso; con la Cattedrale nel mezzo e San Domenico sopra il tufo giallo. Ma la Fontebranda è già ficcata giù sotto terra, e i macelli se ne stanno stretti stretti rasente la balza che regge metà di Siena. La vasca natatoria è verdastra dietro le punte nere e taglienti del suo cancello; i lavatoi hanno l'acqua saponata; gli archi delle conce piene di cuoia ad asciugare. Quanta solitudine e quanto silenzio anche con il vocìo delle donne e dei ragazzi! Quando le donne di Fontebranda cantano, con quelle cadenza d'una stanchezza tanto dolce!
E' un silenzio che sta lì come le case, quasi assurdo. E perché quel cadere perpetuo dei tetti insieme con le strade?
Non si ha, al contrario, il senso che le strade salgano: si sente soltanto la discesa fatta in fretta , con ansia: e dal punto più basso anche il meriggio è così lontano che resta soltanto per gli altri rioni di Siena.
mercoledì 28 novembre 2007
Elisabeth Schwarzkopf - Who is Sylvia (Franz Schubert, W.Shakespeare)
Elisabeth Schwarzkopf, soprano (1915-2006) - pianista non identificato
Londra, 1958
Who is Sylvia? what is she?
That all our Swaines commend her?
Holy, faire, and wise is she,
The heaven such grace did lend her,
that adored she might be.
Is she kinde as she is faire?
For beauty lives with kindnesse:
Love doth to her eyes repaire,
To helpe him of his blindnesse:
And being help'd, inhabits there.
Then to Sylvia, let us sing,
That Sylvia is excelling;
She excels each mortall thing
Upon the dull earth dwelling.
To her let us garlands bring
Versione inglese, tratta direttamente (e con qualche accorgimento ritmico) dal testo shakespeariano (da "The two gentlemen in Verona") cui la versione tedesca originale (su testo di Eduard von Bauernfeld) vuole rifarsi.
In questo Lied, tra i più celebri della produzione di Schubert, il soprano tedesco (naturalizzato inglese) dà dimostrazione delle due caratteristiche principali della sua Arte: l'estrema cura nella resa del dettato musicale e testuale, unita ad una plasticità tutta espressiva del volto, che non soffre di alcuna deformazione o tensione a dispetto di una tessitura piuttosto spinosa, ma anzi anticipa l'accento melodico e lo amplifica con un semplice sorriso. Finché alla fine oggetto del canto e soggetto coincidono: l'Artista diventa quella bella e gentile Sylvia cui è quasi dovere porgere ghirlande di fiori.
Si Sienne m'était contée - episodio I

Comincio da una bellissima pagina, troppo lunga per essere riportata integralmente, tanto che ne trascrivo solo alcuni frammenti significativi. Si tratta di un articolo scritto per il primo numero della rivista senese La Diana (1926), ad opera del giornalista romano Paolo Orano (1875-1944), la cui fede fascista, così estranea alla mia sensibilità e cultura, non intacca la ricchezzza di una prosa a momenti sovraccarica, segnata da una sintassi paratattica e elencatoria nel gusto dei tempi. Certo, l'immaginario sfiora talvolta, e forse anche scuote, corde vagamente nazionalistiche, ma astratta dal suo contesto questa descrizione tutta ascendente dell'anima senese è altamente poetica, e quindi verosimile.
Io non so vedere il popolo senese mutato da quello che fu sei, cinque e quattro secoli or sono , quando la Città di Caterina ebbe la ventura di manifestarsi con una storia singolare e tipica, mescolata di tragico d'eroico dimistico e di parossistico, toccando sovente culmini di genialità. Il popolo senese ha un intimo fondo d'inquietezza.
L'anima senese è abbacinata dall'assoluto. Di qui la sua perenne irrequietezza e quella impressionante linea diagrammatica dell'umore quotidiano di pressoché ogni figlio di Siena, eguale nella diversità, che trovate al mattino vibrante di una espansività quasi aggressiva, a metà del giorno fastidito e chiuso, in altre ore censorio sarcastico e più in là ancora radioso di comunicatività affabile, alla quale il linguaggio più sottile e lirico della terra accresce il fascino irresistibile.
Anima d'assoluto. Caterina non si spiega che così, e non altrove si può creare la ragione del tenace spirito di competizione cittadina, ieri come oggi. La santa senese è l'espressione geniale e titanica dell'autentica non modificata natura della donna di Siena. I caratteri distintivi di un popolo sono più evidenti e debbo dire più sviluppati nell'anima femminile che non in quella maschile (...) Ora questa mentalità d'assoluto che determina una segreta scontentezza ed un'ansia sentimentale madre di melanconia, che nessun romanziere e nessuno psicologo professionale hanno avvertito, chi ha intimamente e a lungo vissuto la vita di Siena l'ha conosciuta. L'anima femminile senese è straordinariamente individuata, in ogni classe di società, d'un'acustissima sensività, suscettibile, vigile, capace di percepire i più profondi moti e motivi del più complicato spirito, pronta ai silenziosi giuramenti del cuore, alle ascensioni ardite della decisione morale.
Ma anche l'uomo è colà sotto il riso - non gaio - sotto il sarcasmo, sotto l'irrefrenabile frase che giudica e manda, una natura tormentata. C'è il senese vivace e facilissimo conversatore; c'è il senese tacito e burbero, forse di ceppo maremmano, dalla cui bocca non escono, come da quella dei Sardi di Barbagia e di Goceano, che aforismi di saggezza amara, definizioni quintessenziali delle cose e delle persone, crude ma limpide, estreme ma succose
Misticismo, tristezza, passione, esaltazione, voluttà, contemplatività, scoppio improvviso dell'ardore accumulato. Profondità di radici, altezza di ascensioni ideali, e cioè tutti i fermenti tragici e fecondi dell'essere entro il piccolo crogiuolo. Il calore di quelle fiamme è arrivato agli estremi limiti del mondo spirituale. Nulla dell'anima senese è morto e neppure s'è attenuato. I roghi visibili e invisibili di questa Città di passione continuano a ardere. E perché la fiamma non manchi mai, Siena viva continua a portare sé stessa, tutta sé stessa, come alimento d'un'anima immortale.