giovedì 29 novembre 2007

Si Sienne m'était contée - episodio II







Molto probabilmente Federigo Tozzi non ha bisogno di presentazioni, e conto tracciarne un semplice profilo su questi schermi prossimamente. Nato a Siena nel 1883, ma morto a Roma nel 1920, fu cantore inspirato della propria città, cui era legato da un sentimento ambivalente. Questo divertente brano è tratto da Bestie (Roma, 1916), sorta di zibaldone a-filsofico (e in questo significativo di un'ascendenza leopardiana tutta formale) e procedente per previ quadretti di impressionistica vivacità .



La descrizione delle strade della Contrada dell'Oca, con il loro precipitoso moto discensivo, e del fossato di Fontebranda, schiacciato tra il salto che regge Vallepiatta e la parete di tufo culminante in San Domenico, mi ricorda una passeggiata fatta in un giorno piovoso di Maggio, quando dovetti trovare riparo sotto gli archi della fonte. La pioggia cadeva tanto copiosa che a malapena riuscivo ad intravedere la cupola bronzea e il campanile del Duomo. Anzi, tanto in alto paiono, quella cupola e quel campanile, che, in parte offuscati, sembravano librarsi per aria per contrastare la caduta della pioggia stessa.



E poi da questa pagina s'immaginano cose antiche e rimosse: che gli archi della fonte recavano inferriate, che le donne dell'Oca, e non solo suppongo, vi lavavano i panni mentre le pelli degli animali abbattuti nei vicini macelli seccavano appese alle conce.







Una strada scende: anche un'altra scende e le viene incontro: si fermano insieme. Dalla prima, a metà, se ne parte un'altra, più bassa, che fa lo stesso.

Su la prima se ne butta un'altra; poi la prima e la seconda, dopo la fermata, se ne vanno giù insieme e a un certo punto incontrano quella più bassa di tutte. Altre strade la tagliano e scendono. Le case hanno paura a stare ritte tra questi precipizii e si toccano con i tetti pendenti. Ma anche i tetti, a pendere così, non potrebbero cadere tutti giù?

Le case, per fortuna, sono soltanto a due o tre piani; e la gente, alle finestre, ha l'aria di far loro contropeso; perché non seguitino ad andare più in giù, verso la Porta Fontebranda, da dove certo non passerebbero essendo così stretta. Le vie della città guardano queste quasi per scendere loro addosso; con la Cattedrale nel mezzo e San Domenico sopra il tufo giallo. Ma la Fontebranda è già ficcata giù sotto terra, e i macelli se ne stanno stretti stretti rasente la balza che regge metà di Siena. La vasca natatoria è verdastra dietro le punte nere e taglienti del suo cancello; i lavatoi hanno l'acqua saponata; gli archi delle conce piene di cuoia ad asciugare. Quanta solitudine e quanto silenzio anche con il vocìo delle donne e dei ragazzi! Quando le donne di Fontebranda cantano, con quelle cadenza d'una stanchezza tanto dolce!

E' un silenzio che sta lì come le case, quasi assurdo. E perché quel cadere perpetuo dei tetti insieme con le strade?

Non si ha, al contrario, il senso che le strade salgano: si sente soltanto la discesa fatta in fretta , con ansia: e dal punto più basso anche il meriggio è così lontano che resta soltanto per gli altri rioni di Siena.


mercoledì 28 novembre 2007

Elisabeth Schwarzkopf - Who is Sylvia (Franz Schubert, W.Shakespeare)



Elisabeth Schwarzkopf, soprano (1915-2006) - pianista non identificato
Londra, 1958

Who is Sylvia? what is she?
That all our Swaines commend her?
Holy, faire, and wise is she,
The heaven such grace did lend her,
that adored she might be.
Is she kinde as she is faire?
For beauty lives with kindnesse:
Love doth to her eyes repaire,
To helpe him of his blindnesse:
And being help'd, inhabits there.
Then to Sylvia, let us sing,
That Sylvia is excelling;
She excels each mortall thing
Upon the dull earth dwelling.
To her let us garlands bring


Versione inglese, tratta direttamente (e con qualche accorgimento ritmico) dal testo shakespeariano (da "The two gentlemen in Verona") cui la versione tedesca originale (su testo di Eduard von Bauernfeld) vuole rifarsi.

In questo Lied, tra i più celebri della produzione di Schubert, il soprano tedesco (naturalizzato inglese) dà dimostrazione delle due caratteristiche principali della sua Arte: l'estrema cura nella resa del dettato musicale e testuale, unita ad una plasticità tutta espressiva del volto, che non soffre di alcuna deformazione o tensione a dispetto di una tessitura piuttosto spinosa, ma anzi anticipa l'accento melodico e lo amplifica con un semplice sorriso. Finché alla fine oggetto del canto e soggetto coincidono: l'Artista diventa quella bella e gentile Sylvia cui è quasi dovere porgere ghirlande di fiori.

Si Sienne m'était contée - episodio I













Lancio con questo post una nuova serie tematica, nella quale pubblicherò le citazioni su Siena che mi hanno maggiormente colpito tra le letture che ho fatto e farò.

Comincio da una bellissima pagina, troppo lunga per essere riportata integralmente, tanto che ne trascrivo solo alcuni frammenti significativi. Si tratta di un articolo scritto per il primo numero della rivista senese La Diana (1926), ad opera del giornalista romano Paolo Orano (1875-1944), la cui fede fascista, così estranea alla mia sensibilità e cultura, non intacca la ricchezzza di una prosa a momenti sovraccarica, segnata da una sintassi paratattica e elencatoria nel gusto dei tempi. Certo, l'immaginario sfiora talvolta, e forse anche scuote, corde vagamente nazionalistiche, ma astratta dal suo contesto questa descrizione tutta ascendente dell'anima senese è altamente poetica, e quindi verosimile.





Io non so vedere il popolo senese mutato da quello che fu sei, cinque e quattro secoli or sono , quando la Città di Caterina ebbe la ventura di manifestarsi con una storia singolare e tipica, mescolata di tragico d'eroico dimistico e di parossistico, toccando sovente culmini di genialità. Il popolo senese ha un intimo fondo d'inquietezza.


(...)



L'anima senese è abbacinata dall'assoluto. Di qui la sua perenne irrequietezza e quella impressionante linea diagrammatica dell'umore quotidiano di pressoché ogni figlio di Siena, eguale nella diversità, che trovate al mattino vibrante di una espansività quasi aggressiva, a metà del giorno fastidito e chiuso, in altre ore censorio sarcastico e più in là ancora radioso di comunicatività affabile, alla quale il linguaggio più sottile e lirico della terra accresce il fascino irresistibile.





Anima d'assoluto. Caterina non si spiega che così, e non altrove si può creare la ragione del tenace spirito di competizione cittadina, ieri come oggi. La santa senese è l'espressione geniale e titanica dell'autentica non modificata natura della donna di Siena. I caratteri distintivi di un popolo sono più evidenti e debbo dire più sviluppati nell'anima femminile che non in quella maschile (...) Ora questa mentalità d'assoluto che determina una segreta scontentezza ed un'ansia sentimentale madre di melanconia, che nessun romanziere e nessuno psicologo professionale hanno avvertito, chi ha intimamente e a lungo vissuto la vita di Siena l'ha conosciuta. L'anima femminile senese è straordinariamente individuata, in ogni classe di società, d'un'acustissima sensività, suscettibile, vigile, capace di percepire i più profondi moti e motivi del più complicato spirito, pronta ai silenziosi giuramenti del cuore, alle ascensioni ardite della decisione morale.


(...)



Ma anche l'uomo è colà sotto il riso - non gaio - sotto il sarcasmo, sotto l'irrefrenabile frase che giudica e manda, una natura tormentata. C'è il senese vivace e facilissimo conversatore; c'è il senese tacito e burbero, forse di ceppo maremmano, dalla cui bocca non escono, come da quella dei Sardi di Barbagia e di Goceano, che aforismi di saggezza amara, definizioni quintessenziali delle cose e delle persone, crude ma limpide, estreme ma succose


(...)



Misticismo, tristezza, passione, esaltazione, voluttà, contemplatività, scoppio improvviso dell'ardore accumulato. Profondità di radici, altezza di ascensioni ideali, e cioè tutti i fermenti tragici e fecondi dell'essere entro il piccolo crogiuolo. Il calore di quelle fiamme è arrivato agli estremi limiti del mondo spirituale. Nulla dell'anima senese è morto e neppure s'è attenuato. I roghi visibili e invisibili di questa Città di passione continuano a ardere. E perché la fiamma non manchi mai, Siena viva continua a portare sé stessa, tutta sé stessa, come alimento d'un'anima immortale.

giovedì 15 novembre 2007

Una voce m'ha portato a Siena - Parte III


(...segue...) 9 novembre 2006


Mi pare di rinascere ad un nuovo cielo. Senza tema di esagerare. Di respirare una nuova aria. Non ho ancora visto nulla di questa città, appena due passi di una via non proprio centrale.


E già l'amo.


Già devo chiamare casa e esultante, senza cura dei passanti (io che son così morigerato) dire: non sapete quanto è bella Siena!


Di fronte a me l'unico varco superstite delle Due Porte. Stalloreggi è stretta, severa, quasi cupa, anche se il sole di novembre inonda i tetti. Alzo lo sguardo: qui Duccio dipinse la Maestà. Andiamo avanti che i bagagli cominciano a pesare.


Come è strano essere confrontati a luoghi che si sono visti solo in immagini... M'ero immaginato questa via immensa, lunga chilometri. Avevo pregustato la fatica che mi avrebbe reso più gradito ancora il riposo nella mia stanza.


E no: sento scorrere il getto pertinace di una fontana. E' lei, è lei. La pantera pronta allo scatto. Tutto è più piccolo, più umano di quanto avevo fantasticato guardando le fotografie. Tutto è accogliente, a misura mia.


La stanza è semplice, ma comoda. Mi devo riposare un po', ché il viaggio è stato lungo.


Ma no, no... devo andare a trovarlo. Sono venuto inanzittutto per lui.


Dove sarà? Non c'è il custode, andiamo a istinto. Di qua, penso sia di qua. No, non è qui... Andiamo avanti perché sento che è più lontano. Oh! E' proprio là.


Caro Ettore, so che, se ti possono giungere i miei sentimenti, lo potranno in ogni dove. Ma è mio onore poterti portare questi fiori, per ringraziarti e testimoniare quanto, pur non avendoti conosciuto, tu sia ormai presente nella mia vita. Grazie. La bellezza del tuo canto ora, nell'anima mia, si accompagnerà sempre a quella della tua città, di cui appena ho sfiorato il suolo, ma che già credo di amare. Mai nella vita avrei creduto provare questo: eccomi ora a parlare con una lapide, tanto fredda quanto ribollente era la tua voce. La voce nella quale la tua anima mi ha parlato e ora si concretizza nel dono di questa nuova prospettiva. La tua Voce, Ettore mi ha portato a Siena. La tua Voce me l'ha fatta cercare, e non c'è amore senza ricerca.

mercoledì 14 novembre 2007

Una voce m'ha portato a Siena - parte II




9 novembre 2006...


Il treno corre veloce. Non abbastanza. Ecco Certaldo, c'è nato Boccaccio - pare. Ma vai, sbrigati treno d'inferno. Sono belle queste campagne, i campi arati così perfettamente che solo lassù credevo esistessero ad imbandire la mensa dei santi. Mets les gaz, saloperie de train. Non m'importa delle campagne celesti attorno a Certaldo. Voglio Siena. Da mesi ho prenotato la stanza... in Pantera.


Da mesi ho stabilito cosa farò, appena questa brenna di treno mi avrà portato alla meta: piglierò un taxi e gli dirò di portarmi a Porta Laterina. Nella mia ingenuità credo che nemmeno i taxi possono circolare dentro le mura. Sì, gli dirò di scendere a porta Laterina, e muoverò il mio primo passo a Siena... in Pantera.


Ecco... che vedo! Le Badesse... sì, ho studiato bene. Devo sempre studiarmi bene i tragitti dei treni con le fermate intermedie, altrimenti ho paura di perdere quella giusta. E' il mio primo viaggio in totale solitudine. Le Badesse !!! La prossima fermata è arrivo a destinazione per me.


-E' libero?

-Sie, dove La porto?

-A Porta Laterina, è possibile?

-E perché un dovrebbe esse possibile?

-Sa, è la prima volta che vengo a Siena (leggasi con e chiusa, da buon ligure), pensavo ci fossero zone a traffico limitato.

-... (sorriso di compassione del tassista).


Sono quasi deluso: anche Siena ha una periferia, e peggio ancora la sua periferia somiglia a quelle di tutte le città. Il cielo è d'un blu perfetto, ma vicino alla stazione tutto è grigio. Mi pervade un po' d'amarezza, non ne capisco il senso.


Come me la fa lunga questo tassista... mi fa fare tutta la tangenziale?! Vabbé, avrà capito che sono un povero turista e vuole spremermi un pochino. Pazienza...


-Te studi a Siena ? (oh meno male, mi dà del tu)

-Eh no è la prima volta che vengo... sono un turista (Azz. come mi è venuta questa?)

-Ah (quasi deluso) anche LEI...


Il sole d'un tratto sembra avere raggiunto lo zenit. Guardo a sinistra. Ecco Siena. So già che non dimenticherò mai, di tutta la mia vita questa visione.


Ecco le mura di Siena... Ecco...


-Oh, eccoci arrivati!!!

-Eh no guardi che questa è porta S.Marco... se vole la lascio anche qui

-Oh no no, mi sono sbagliato... eh eh, si somigliano un po' tutte... (che vergogna vecchio mio)


-Vede... quella è porta Laterina, ora la lascio all'inizio di via Mascagni, va bene qui?

-Sì sì, va bene... tenga, tenga pure il resto... grazie!




Quasi m'è sembrato aver trattenuto il fiato dalla mia partenza fino a qui. Respiro. M'entra dalle narici un'aria lieve e profumata. Il cielo è terso... Tremo dal piacere. Non c'è nulla di ché in questa via, però che bella che è. Andiamo avanti via, devo arrivare fino a Via Stalloreggi... So già che prima d'arrivare all'albergo passerò davanti alla casa natale di Ettore.


Aspetta, che mi fermo un attimo, devo sistemarmi un po' lo zaino sulle spalle. Ma!!! Ma questa... è la casa di Ettore!!! Ma non era in via Stalloreggi, allora, come avevo letto... La prima casa sotto la quale mi fermo doveva proprio essere la sua ; che simpatica coincidenza. Via, tornerò dopo.


(continua)





Petrarca - Dal "Canzoniere" - Sonetto LXII - "Padre del ciel, dopo i perduti giorni"


RVG LXII


Padre del ciel; dopo i perduti giorni,
Dopo le notti vaneggiando spese
Con quel fero desir che al cor s'accese
Mirando gli atti per mio mal si adorni;


Piacciati omai, co'l tuo lume, ch'io torni
Ad altra vita et a più belle imprese;
Sì ch'avendo le reti indarno tese
Il mio duro adversario se ne scorni.


Or volge signor mio, l'undecimo anno
Ch'i'fui sommesso al dispietato giogo,
Che sopra i più soggetti è più feroce.


Miserere del mio non degno affanno;
Reduci i pensier vaghi a miglior luogo;
Rammenta lor com'oggi fosti in croce.
Contesto: "In vita di Madonna Laura", secondo la ripartizione tradizionale. Il sonetto si finge scritto nel giorno di Venerdì santo 1338, undicesimo anniversario dell'incontro del P. con Laura. Mentre il Tassoni ebbe a scrivere, di questo sonetto: "Non è stato considerato dai raccoglitori delle poetiche spazzature, perché non parla d'amore ; ma di certo non è inferiore ad alcuno di quei che ne parlano", il Muratori giunse ad affermare: "Quanto più si andrà considerando, tanto più bello apparirà agli occhi delle persone intendenti).
Commento metrico: Si tratta di un sonetto con schema ABBA ABBA CDE CDE (frequente, matrice stilnovista). Gli endecasillabi a maiori e a minori vengono ripartiti in maniera simmetrica (6 per categoria), mentre due versi rimangono ambigui (9 ; 14). Il verso 13 presenta una struttura anomala, con una non canonica finale tronca in quinta sillaba, giustificata dal traino dell'accento canonico di sesta, e magnificata dalla ripresa di uno schema metrico affine in nona e decima (pensier vaghi... miglior luogo). Gli accenti contingui in nona e decima sono d'uso in Dante, specie se interessano bisillabi, come in questo caso.
Analisi dei versi: 1-4. Avvio d'orazione, immediatamente disatteso dalla sillaba tronca in quarta sillaba (ciel). Il P. si rivole a Dio, ma la sua non è una preghiera canonica. Chiede salvezza, e il termine della sua prova: l'iterazione della congiunzione dopo significa che è, per esso, giunto il momento di essere salvato, dopo il tempo perduto a "vaneggiare in compagnia di quel desio" (Lodovico Castelvetro). Mirando: "per il mirar ch'io feci" (Carducci), soggetto del gerundio (da intendere, toscanamente, anche quale participio presente) è il P ; gli atti per mio mal si adorni : id. le movenze, il comportamento di Laura, così aggraziati e piacevoli (cfr. CCLXX, 80) da indurre la mente del P. a vaneggiare e a dimenticarsi dell'amor sacro. Vedi anche: "La fera voglia che per mio mal crebbe" LXXIII, 3.
5-8. omai: da ricollegare a "dopo" dei vv. 1-2: è tempo che Dio finalmente soccorra il P. ; ad altra vita et a più belle imprese: a una vita posta sotto il segno della spiritualità e della ricerca del Vero ; il mio duro adversario: duplice interpretazione dei commentatori antichi ; sia esso l'amore (vd "Amor fra l'erbe una leggiadra rete / d'oro e di perle tese" CLXXXI) o il demonio (chiamato "avversaro" nella letteratura religiosa umbrotoscana del sec.XIII e cfr. anche "ti prego/ Che'l tuo nemico del mio mal non rida" nella Canzone alla Vergine CCCLXVI). Nè potrebbe essere argomento per propendere alla seconda ipotesi il verbo scornarsi, che significa "perdere le armi, la potenza". D'altronde amor profano e deviazione diabolica in questo componimento si sovrappongono per via logica.
9-11. Carducci sottolinea come questa prima terzina si colleghi tematicamente alla prima quartina, così come sono in corrispondenza gli altri due membri. Al dispietato giogo: all'amore per L., amore profano, trappola dell'anima e impedimento al raggiungimento della gloria dello spirito. Che sopra i più soggetti è più feroce: cfr. Dante, Vita Nuova XIII: "Non è buona la signoria d'amore perocché quando lo suo fedele più fede gli porta, tanto più gravi e dolorosi punti gli conviene passare".
12-14. Al tono quasi superbo che Petrarca impiega nella seconda quartina, risponde quello supplichevole della terzina di chiusura. Miserere: latinismo già caro a Dante, ben si pone musicalmente insieme al aggettivo mio, in un'alliterazione tipicamente petrarchesca (cfr. "e di me medesimo meco" - I) ; non degno affanno: duplice interpretazione dell'aggettivo degno ; può significare sia "immeritato" (Carducci), sia "indegno, perché avente origine da causa non degna dell'amor sacro"(juxta Tassoni) . Ora, il verso pare ricalcato dal virgiliano "Miserere animi non digna ferentis" Aen.II 144 (Pietà d'una anima che patisce tormenti immeritati), e, se il prestito è totale, allora si dovrà propendere per la prima soluzione. Scrive tuttavia Tassoni, a difesa della seconda: "Essendo cosa indegna che un'anima sia dallì'amore d'una creatura affannata, la quale tutta in quella del creatore dovrebbe essere immersa". E d'altronde come non ricollegare questo indegno ai perduti giorni del v.1? Nell'ottica del penitente, l'affanno è meritato, e anzi, tiene luogo di punizione al quale la salvezza non potrà che seguire. Reduci i pensier vaghi: "vago" è termine spiccatamente petrarchista (cfr. C, CVII, CXXIII, CXXIX, CLXI, CLXIX, CCLXXII etc.), ed è uno dei vocaboli simbolo della cosiddetta "poesia dell'indefinito", di matrice post stilnovista e che avrà suo estremo rappresentante e perfezionatore in Leopardi ; rieccheggia qui il tema della reductio ad unum di elaborazione neoplatonica. Rammenta lor etc.: fai tornare alla mente smarrita l'immagine del tuo tormento, estremo atto d'amore.
Abbozzo d'interpretazione: Petrarca s'innamora di Laura nel giorno della Passione di Cristo. Congiunzione di due amorose traiettorie di dolore: l'una profana e caduca, l'altra sacra e divina. Entrambe umane nella diversa sofferenza. La scissione psicologica del P., così razionalmente elaborata nel dialogo noto come "Secretum", trova in questo sonetto una via espressiva più audace: la tensione tra i due estremi della voluntas petrarchesca (gloria umana e gloria sacra) vanno a sovrapporsi, allorquando, nell'opera latina, si trovavano scomposte e analizzate. La sofferenza, al primo grado d'interpretazione, viene evocata come consapevole espiazione di una perdita di direzione rispetto all'amore divino. Ma nel medesimo punto essa diventa elemento di tramite tra l'uomo Petrarca e il Dio che va pregando. "Soffro per il mio errore, ho sofferto anche sbagliando ; ora fa che la mia sofferenza cambi segno e che io possa soffrire con te". Amore sacro e amor profano, accomunati in questo componimento nel medesimo destino di sofferenza, vengono in extrema ratio separati dall'esito di questo destino: l'oblio da una parte e dall'altra la salvezza eterna. E' questo forse il momento più straziante, a livello concettuale, della crisi "esistenziale" petrarchesca: vi si legge un tentativo di giustificazione (da qui l'ambiguità dell'aggettivo degno, al v.12) , ma soprattutto di una desiderata, quanto vana, ricomposizione din uno spirito spaccato in due.

martedì 13 novembre 2007

Una voce m'ha portato a Siena - Prima parte

Tutto risale all'incirca al mese di Giugno 2006.



Ho sempre amato l'opera, anzi proprio nel 2006 finiva il mio decimo anno di melomania acuta. E in quel giorno di Giugno 2006 ascolto il Don Carlo di Verdi. Diretto da Von Karajan, niente meno. La registrazione è del 1958, in diretta dalla Felsenreitschule di Salisburgo nel quadro del ben noto festival.



E' - a dir la verità - la prima volta che ascolto quest'opera, che parla di libertà, di amori delusi, di vendette e sacrifici per amicizia e ideali. Il quarto atto si conclude, appunto, con un sacrificio e una morte: quella del nobile Rodrigo, marchese di Posa, che per salvare l'amico Carlo, figlio del re di Spagna, prende su di sé la colpa che gli viene imputata, e muore trafitto da un'arciere della guarda reale. Come spesso accade nel melodramma, la morte di un protagonista è preceduta da un suo addio alla vita, sotto forma di romanza. "Per me giunto è il dì supremo" - questo è l'incipit dell'aria con la quale Rodrigo si accomiata dal mondo. Melodia dolcissima, raccolta, un'aria d'amore, perché è una forma di altissima amicizia quella che porta un grande di Spagna a offrire la sua vita in dono per avere salva quella dell'Infante. A cantare quest'aria era Ettore Bastianini. E più l'ascoltavo, diminuire i suoni, rinforzarli, permearli di una malinconia nel contempo lenificante e disperata, più sentivo in quella voce un ché di vitale, di dolente e tremendamente comunicativo.







Poco sapevo di questo artista, senon la sua breve parabola vitale, troncata da un male inesorabile. Ma tanto mi aveva commosso in quel brano, e soprattutto inquietato, che ebbi l'urgenza di cercare qualcosa a suo riguardo. Una biografia, una semplice nota. Trovai così che, oltre al canto, sua ragione di vita fu la sua Contrada. La Pantera. Bastianini era senese.



Raccolsi in gran fretta, internet permettendolo, la maggior parte del suo lascito discografico. Ormai la sua voce faceva parte della mia vita ; come poche altre mi è entrata nelle vene.



E il 2 luglio 2006, giorno del Palio di Provenzano (ma io quasi non lo sapevo, o l'avevo dimentiato), lo ascolto nel Trovatore, suo debutto a Tokyo nell'ottobre del 1963.



Sono le 20 circa, ed è arrivato il momento della sua grande romanza del secondo atto. Non mi ricordo che cosa dovessi vedere in Televisione, forse le informazioni. Accendo, e intanto Bastianini canta. Accendo: ha vinto la Pantera. Era segno del destino? La gioia che m'invase in quel momento non trova in me spiegazione razionale.



Era deciso: sarei andato a Siena, dopo l'estate.

Iniziare...

Gli autori dell'antichità hanno inventato tutto ; in mezzo a questo tutto troviamo anche il cosiddetto inizio in medias res. Gran bella cosa davvero, espressione com'è della nostra impazienza.

Quanto mi piacerebbe (non so a voi) essere arrivato in questa vita già inserito nel mondo, senza aver nulla da intraprendere, nulla da imparare. Nulla da iniziare appunto, ma avere solo da continuare e finire. A volte ho il dubbio che la fine sia meno dolorosa dell'inizio, non perché - leopardianamente se si vuole - la nascita sia il primo incontro con la desillusione, ma perché ci vuole poco sforzo (e talora soltanto molta volontà) per finire, e molto per cominciare.

Ho aperto un blog perché lo fanno tutti, e forse sono come le pecore di Panurge nel romanzo di Rabelais. Però, come spesso mi accade quando mi azzardo a fare qualcosa che fanno tutti, mi sono reso conto di non sapere da dove iniziare. Di aver poco da dire (anche se ciarlo molto) e ancor meno da raccontare. E allora ho avuto la conferma ennesima, se mai ve ne fosse bisogno (ma apparentemente sì) della vuotezza vertiginosa della mia esistenza... ma queste sono litanie che vi risparmio.

Su queste schermate si parlerà di poche cose. Scriverò di letteratura, di musica, di Siena. E qualcos'altro cammin facendo si aggiungerà.


Per una volta mettiamo il dolce all'inizio, dato che è tanto difficile inizare: e vi dico perché Siena. Il 2007 è stato per me un annus horribilis, come tutti possiamo vantarci di avere avuto. Non vi è mai capitato di sentirvi sprofondare giù nell'acqua, finché una mano soccorevole non vi afferrasse per i capelli per riportarvi a galla? Ecco... Siena per è stata quella mano. E se la mia gratitudine non ha parole, il mio amore per lei sa essere più facondo.

La musica... metafisica in suono, "qualcuno" ha scritto. Io amo particolarmente la voce umana applicata alla musica, e cioè il canto, in ogni sua forma. Esiste qualcosa di più ontologico, di più materiale del suono della voce umana? Eppure questo suono si carica giocoforza delle emozioni di chi ne è attraversato nel momento stesso in cui si forma. Canale per me insostituibile tra il degradabile della nostra forma e l'infinito della nostra essenza. Foriero di verità, il suono musicale mi affascina.

Viceversa le Lettere sono vettori di necessarie bugie. "La parola è stata data all'uomo per nascondere il suo pensiero" (La parole a été donnée à l'homme pour cacher sa pensée), scrisse Stendhal... E cos'è la letteratura senon il monumento che l'uomo ha eretto alla parola, e quindi alla dissimulazione? Creare per dissimulare, o dissimulare creando non è azione antipatica: in fondo anche ogni libro è portatore di verità, sia della sua propria (che è dissimulazione) sia di quella che vuole celare.

Per ora vi mando un saluto. "Vi"! Non so chi sarete... alcuni amici miei cui avrò dato il link, e che ritroveranno qui il solito Davide blaterante... alcuni miei futuri amici virtuali... altri visitatori che verranno una volta e non torneranno più... Non voglio trattenere nessuno, senon me stesso su queste pagine, per esercitare la costanza e solleticare l'egocentrismo.

A presto!!!